ottobre 22, 2016

Cracking Art

A cura di Damien Sausset

A cosa serve l’arte ? Cos’ altro può aggiungere a questa forma di apatia costante e di rassegnazione più o meno euforica che ci viene presentata come progresso della civilizzazione? E’ ancora in grado di lottare contro le forme più grossolane e ciniche di potere e contro l’ arrendevolezza del mondo nei confronti delle leggi spietate di mercato? Sono interrogativi centrali, essenziali. Interrogativi dalle cui risposte dipende non solo il nostro avvenire, ma anche la nostra capacità di resistere e di reinventarci.

Eppure, i segnali più sconcertanti dell’aggravarsi delle cose sono tutti là fuori. Per convincercene basta gettare uno sguardo a quell’atmosfera di disincanto e di profonda malinconia di cui è imbevuto il mondo odierno e di cui il cinema e i media si servono maliziosamente da tempo. Il reale sembra sfuggire, o più precisamente, dissolversi. Perde qualsiasi consistenza di fronte al potere di queste forme simboliche (e di questi esseri) che si presentano al mondo sotto forma di simulacri da divorare avidamente.

L’arte sarebbe quindi morta, ridotta ad essere una merce al pari di tutte le altre, con la sua economia, le sue reti e i suoi mercati, diversi sì, nelle sembianze, da quelli di un aspirapolvere o di una macchina, ma identici nella struttura. Eppure, nonostante il crescente dilagare di incredulità nei confronti di un quotidiano sempre più artificiale, c’è chi osa ancora pensare che l’arte sia quell’atto incomprensibile in grado di opporsi ad ogni razionalità: è questa la linea di pensiero adottata dal movimento Cracking Art.

Fondato a Biella nel 1993, il gruppo elabora, a partire da questa visione del mondo, alcuni spunti molto interessanti.

Tutti i suoi membri rifiutano l’accezione che la cultura e l’arte possano avere oggi la stessa valenza cognitiva di un sondaggio d’opinioni e che sappiano incarnare l’immagine di un popolo preposta al suo stesso riconoscimento. E più quest’immagine si rivela ricca, copiosa, diversificata fino a provocare smarrimento e saziante fino alla nausea, più diventa difficile, per la politica, trovare delle buone ragioni per agire sulla società.

Di fronte a tutto questo, la Cracking Art oppone una forma personale di resistenza. Alla base del movimento risiede infatti il rifiuto categorico della nozione di “autore”, principio cardine, sebbene già ampiamente superato, della società consumistica. E’ quindi in gruppo, vissuto anche come maschera simbolica, che questi artisti avanzano e conquistano margini di mondo. I loro nomi (è bene ricordarli) sono : Alex Angi, Kicco, Marco Veronese, William Sweetlove, Renzo Nucara e Carlo Rizzetti.

Il concetto stesso di gruppo è parte integrante del movimento e viene concepito come unione produttiva di comptetenze eterogenee, simultaneamente all’opera per la creazione di un intervento diretto o di un’ esposizione. Le opere nascono quindi dal dialogo, dal confronto, dal fiorire comune di molteplici idee e dal loro successivo aggiustarsi agli imprevisti delle dinamiche esterne .

Come definire l’arte Cracking ? Come ogni movimento artistico pienamente consapevole degli abbagli (e sbagli) del passato, il gruppo è stato in grado di recuperare brillantemente alcune concezioni riattualizzandole radicalmente. E’ così possibile rinvenire nelle sue opere un’innegabile parentela con la Pop Art per la stessa capacità di mettere in crisi il sistema iconografico del sistema mediatico e della nostra società. Ma invece di prendere come bersaglio – facile – i prodotti di un’era votata al consumismo (dall’immagine delle stars alla gamma completa delle merci in offerta sul mercato), i Crackings mettono in gioco un esercito di animali colorati, un insieme di figure semplici ma altamente simboliche; allo stesso tempo, hanno ben compreso come il vero artista non possa basarsi sulla filosofia del ready-made, né ricorrere allo stratagemma dell’oggetto di uso comune dislocato dal suo ambiente naturale e insignito dello status di opera d’arte in virtù della mera ricontestualizzazione in un luogo “Altro”.

Le loro creazioni di plastica (i pinguini, i coccodrilli, i suricati) sono multipli, infiniti, alla stessa stregua dei prodotti generati dal mondo. Rifiutano l’unicità, vecchia concezione borghese di derivazione romantica, e si innestano nel nostro universo simbolico come cinica parodia del reale. Sono multipli, dunque molteplici, e come un virus possono arrivare a colpire ogni angolo di mondo, dando così il via alla creazione di nuovi spazi fisici ed immaginari.

Il gruppo quindi, a differenza di molte tendenze contemporanee, non rifiuta il concetto di Dio, ma gli attribuisce piuttosto un valore nuovo, riproponendo l’anatema caro al Secolo dei Lumi con un registro diverso, spettacolare: con la Cracking Art l’ artista cessa di essere Dio nella misura in cui è in grado di ricomporre il mistero. E’ il mistero stesso, uno spazio metafisico all’ interno del quale tutto all’improvviso può prendere forma.

Ammiccando a questa inversione di lettura, i Crackers propongono come nuova materia prima la plastica: derivata dal petrolio, residuo organico fossile, viene plasmata dall’artista per dar vita a nuove forme. La plastica diventa così il simbolo dell’energia del presente veicolando la transizione dalla terra primordiale (quella di ere immemorabili, antecedenti all’Uomo e anche agli dei e terra dotata di memoria organica) al mondo attuale, rappresentato da un istante eternizzato e costellato di indecisioni per un futuro dominato dal potere tecnologico.

Il conflitto tra Natura e Cultura è ricomposto, i due poli, riuniti, diventano eternamente indissociabili.

Si potrebbe a questo punto fare un inventario delle creazioni del Gruppo, vedere quante delle loro opere non avrebbero potuto trovare altro “contesto d’accoglienza” se non quello pubblico, concepito come arena all’interno della quale ci muoviamo tutti e dove prendono forma tutti i conflitti, tra politica e società, tra ordine e disordine, tra le pratiche eterogenee degli individui e la razionalità standardizzata delle imprese, tra il mondo reale e il bisogno individuale di evasione.

Pinguini rossi, coccodrilli verdi, cani gialli.. queste immagini di un bestiario simbolico diventano allora guardiani di una coscienza da risvegliare. Ci ricordano che con il progressivo dissolversi della realtà che ci circonda, l’unica leva che possa avere presa effettiva sull’umanità è quella di tornare a considerare nuovamente l’arte come simbolo di una libertà incondizionata e assoluta perché estranea alle necessità della res publica, alle sue leggi, ai suoi valori e al suo governo.D.SAUSSET